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Santi del 19 Settembre

Il mio Santo > I Santi di Settembre

*Sant'Abbone (o Goerico) di Metz - Vescovo (19 Settembre)
Martirologio Romano:
A Metz in Austrasia, ancora nel territorio dell’odierna Francia, San Goeríco o Abbone, vescovo, che succedette a Sant’Arnolfo, il corpo del quale traslò con venerazione in questa città.
I suoi due nomi ci sono stati tramandati sotto forme diverse: il primo, Abbone, nelle varianti Abbo, Appo, Abdo, Albo; il secondo nelle varianti Goerìco, GoherIco, Goderìco. Nei cataloghi ufficiali della diocesi risulta il trentesimo vescovo di Metz, avendo governato quella chiesa dal 625 al 642 o 643. Nei martirologi germanici, in quello di Metz e di altre città della Gallia è ricordato il 19 settembre come «vescovo e confessore, mirabile per santità, amabile coi suoi sudditi ». Di lui ci sono pervenute due vite, di poco posteriori al Mille, ma sono di scarso valore storico.
Nacque in Aquitania, tra il 565 e il 575, figlio, a quanto sembra, di Gamardo e forse cugino o nipote del vescovo suo predecessore, Sant'Arnolfo, di cui egli riconobbe i resti a Remiremont nel 641 riportandoli a Metz.
Si dice abbia avuto due figlie: Vittorina e Precia (o Aprincia), alla quale egli stesso da vescovo impose il velo della verginità e che più tardi divenne Santa.
Secondo tutti i documenti che ci parlano di lui Abbone fu un valoroso guerriero, riportò numerose vittorie contro i barbari e per le sue straordinarie doti di capitano percorse tutti i gradi della carriera militare, giungendo fino alle più alte dignità. Si dice anche che, ferito in uno scontro, perdette la vista e che sopportò tale infelicità con cristiana pazienza.
Recatosi a Metz e datosi a opere di bene, per intercessione di Sant'Arnolfo, riacquistò la vista e fu iniziato agli ordini sacri.
Nel 625 diventò vescovo di Metz. Qui fece costruire la chiesa di San Pietro infra domum o ad imagines; fu molto onorato dal re Dagoberto, che lo nominò nel suo testamento (636), e tenne corrispondenza con Desiderio, vescovo di Cahors. Nel secolo X, a Metz, esisteva una chiesa in suo onore.
Un breviario stampato a Parigi nel 1535 e un breviario del 1554 hanno di lui un Ufficio con nove lezioni; l'Ufficio è tolto dal Comune, ma con tre antifone e orazione propria.

(Autore: Andrea Tessarolo - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Abbone di Metz, pregate per noi.

*Sant'Alfonso de Orozco - Sacerdote Agostiniano (19 Settembre)
Oropesa (Spagna), 17 ottobre 1500 - Madrid, 19 settembre 1591
Nacque a Oropesa, nella provincia spagnola di Toledo il 17 ottobre 1500.
Entrò nel noviziato agostiniano a Salamanca dove fu accolto dal superiore Tommaso da Villanova futuro Santo.
Indossò l'abito agostiniano assieme al fratello la vigilia di Pentecoste del 1522 e venne ordinato sacerdote intorno al 1527 per ordine dei suoi superiori, nonostante fosse stato duramente provato nello spirito e nel corpo.
Scrittore e omileta di fama, coltivò una spiccata devozione alla Vergine.
Benché già predicatore alla corte del re di Spagna, preferiva parlare alle religiose e alla gente povera e semplice e anche negli ospedali e nelle carceri.
Fu priore in vari conventi e numerosi ne fece erigere, sia maschili che femminili.
Nell'agosto del 1591 fu colpito da una forte febbre che lo condusse alla tomba il 19 settembre dello stesso anno.
È stato canonizzato da Giovanni Paolo II il 19 maggio 2002. (Avvenire)

Etimologia: Alfonso = valoroso e nobile, dal gotico
Martirologio Romano: A Madrid in Spagna, Sant’Alfonso de Orozco, sacerdote dell’Ordine degli Eremiti di Sant’Agostino, che, predicatore ufficiale alla corte del re, si mostrò sempre austero e umile.
Nato il 17 ottobre 1500 a Oropesa nella provincia di Toledo (Spagna), Alfonso maturò la propria vocazione a seguire Cristo nell’Ordine Agostiniano grazie all’esempio di san Tommaso da Villanova,
che conobbe a Salamanca dove il futuro santo si era recato per i suoi studi.
Prese l’abito agostiniano assieme al fratello la vigilia di Pentecoste del 1522 e venne ordinato sacerdote intorno al 1527 per ordine dei suoi superiori, nonostante fosse stato duramente provato nello spirito e nel corpo.
La sua profonda spiritualità e la capacità di annunciare la parola di Dio furono colte ben presto dai suoi superiori i quali lo destinarono al ministero della predicazione.
Assunse ben presto cariche direttive all’interno dell’Ordine, diventando Priore in vari conventi.
Assolse questo incarico mettendo al primo posto le sue doti caritative, ottenendo così l’ubbidienza dai suoi confratelli più con l’amore che con il timore.
Nel 1533, desiderò far parte della prima spedizione di agostiniani che andavano a evangelizzare il “Nuovo Mondo”, vide frustrata quest’aspirazione a causa di una grave forma di gotta che lo costrinse a rimanere in patria.
Nel 1549, trovandosi nel convento di Montilla (Córdoba), dopo una fervente preghiera alla Vergine, vide scomparire i dubbi che lo avevano tormentato per circa un trentennio.
Nominato nel 1554 predicatore reale, dovette trasferire la propria residenza a Madrid, diventata in quegli anni per volere di Filippo II capitale di Spagna.
Nonostante la sua alta posizione a corte, sant’Alfonso non venne mai meno ai suoi doveri di ubbidienza verso i superiori, di austerità di vita, di regolarità nella preghiera e di amore verso i poveri.
Un’apparizione in sogno della beata Vergine segnò l’inizio della sua attività di scrittore.
Pubblicò una cinquantina di volumi, in latino e in casigliano, e dopo la sua morte ne furono pubblicati altri trenta circa. La sollecitudine pastorale, il suo fervente amore per la vita religiosa e l’interesse per la storia e la spiritualità dell’Ordine agostiniano, furono i moventi che animarono la sua opera.
In essa si distingue il libro delle “Confesiones”, scritte ispirandosi all’omonima opera di Sant’Agostino.
L’amore per l’Ordine a cui apparteneva lo portò anche ad assumersi il carico di fondatore. Diversi sono i conventi di frati e di monache da lui eretti, tra i quali meritano speciale menzione quello delle Agostiniane di Talavera de la Reina e i due conventi de“La Magdalena” e la “Visitación de la Virgen María” a Madrid, dove nel 1558 fondò anche il “Collegio de la Encarnación”.
Nell’agosto del 1591 fu colpito da una forte febbre che lo condusse alla tomba il 19 settembre dello stesso anno. Durante la malattia non rinunciò mai a celebrare la Messa. Al suo capezzale si spiegò un’ininterrotta processione di alte personalità tra cui il re Filippo II, l’infanta Isabella e il Cardinale Arcivescovo di Toledo, Gaspar de Quiroga.
Attualmente i suoi resti mortali riposano nella chiesa delle Agostiniane di Madrid dette del Beato Orozco.
Fu beatificato da Leone XIII nel 1882.
Sant’Alfonzo De Orozco, nel Concistoro ordinario pubblico, tenutosi in Vaticano il giorno 26 febbraio 2002, dal Papa Giovanni Paolo II è stato proclamato Santo.
La cerimonia di canonizzazione è stata celebrata in San Pietro il 19 maggio 2002.

(Autore: P. Bruno Silvestrini O.S.A. – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Alfonso de Orozco, pregate per noi.

*Beato Antonio Sierra Leyva - Sacerdote e Martire (19 Settembre)
Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Beati 115 Martiri spagnoli di Almería" Beatificati nel 2017
"Santi, Beati e Servi di Dio Martiri nella Guerra di Spagna" Vittime della persecuzione religiosa - Senza Data (Celebrazioni singole)
Churriana de la Vega, Spagna, 22 novembre 1876 – Alhama de Almería, Spagna, 19 settembre 1936.

Antonio Sierra Leyva nacque a Churriana de la Vega, in provincia e diocesi di Granada, il 22
novembre 1876.
Il 28 marzo 1901 fu ordinato sacerdote.
Era cappellano del collegio della Divina Bambina di Instinción, quando morì in odio alla fede cattolica il 19 settembre 1936, ad Alhama de Almería, in provincia di Almería.
Inserito in un gruppo di 115 martiri della diocesi di Almeria, è stato beatificato ad Aguadulce, presso Almería, il 25 marzo 2017.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Antonio Sierra Leyva, pregate per noi.

*Sant'Arnolfo di Gap - Vescovo (19 Settembre)
Etimologia: Arnolfo = forte e astuto, dal tedesco
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: A Gap nella Provenza in Francia, Sant’Arnolfo, vescovo, che si adoperò molto per ridare una retta disciplina alla vita della sua Chiesa.
Nato a Vendome e educato nel monastero della S.ma Trinità di questa città, fondato nel 1032 da Goffredo Martello, ricevette l'abito benedettino dalle mani dell'abate Oderico che poi lo condusse con sé a Roma.
Lo scopo del suo viaggio era duplice: ottenere per l'abbazia francese la conferma della cessione della chiesa romana dedicata a San Prisca e, similmente, per il suo abate una conferma del titolo di cardinale prete di San Prisca.
Durante la missione le qualità di Arnolfo non passarono inosservate.
Nel 1063, il Papa Alessandro II, dopo averlo più volte onorato con richieste di consigli, lo nominò vescovo di Gap in luogo del simoniaco Riperto, consacrandolo lui stesso.
La sua vita è stata scritta, agli inizi del sec. XIII, da uno sconosciuto monaco di Vendome che illustra specialmente i prodigi e i miracoli compiuti dal Santo.
Arnolfo morì tra il 1070 e il 1079 e la sua festa è fissata al 19 settembre. É patrono della diocesi di Gap.

(Autore: Pierre Villette – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Arnolfo di Gap, pregate per noi.

*San Carlo Hyon Song-mun - Martire (19 Settembre)
Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Santi Martiri Coreani (Andrea Kim Taegon, Paolo Chong Hasang e 101 compagni)”
 

Martirologio Romano: A Seul in Corea, passione di San Carlo Hyon Song-mun, martire: catechista, compì lunghi e difficili viaggi per accompagnare i missionari nella sua patria; messo in carcere insieme ad altri cristiani, mai smise di esortare i suoi compagni e fu, infine, decapitato per Cristo.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Carlo Hyon Song-mun, pregate per noi.

*San Ciriaco di Buonvicino - Abate (19 Settembre)
Buonvicino (Cosenza), sec. X - † Buonvicino, 19 settembre 1030
Nato a Buonvicino (Cosenza), nella diocesi di San Marco Argentano, verso la metà del X secolo, fin da giovane fu anacoreta, prima in una grotta presso Buonvicino, poi da cenobita nel monastero di Santa Maria dei Padri presso Trepidone, dove in seguito fu abate per molti anni.
Nella valle del fiume Crati, sulla Sila Grande, la sua fama si diffuse presto: in molti si accostarono alla vita monastica.
Fu convocato a Costantinopoli dall'imperatore d'Oriente Michele IV († 1041) che si vide la figlia posseduta dal demonio guarita grazie al santo abate. Ciriaco morì a Buonvicino il 19 settembre 1030. Fu sepolto nella chiesa dell'abbazia di Santa Maria dei Padri. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Buonvicino vicino a Cosenza in Calabria, San Ciriaco, abate.
San Ciriaco nacque nel paese di Buonvicino (Cosenza), diocesi di San Marco Argentano, verso la metà del X secolo; visse da anacoreta in una grotta, poi entrò da cenobita nel monastero greco di Santa Maria dei Padri, presso Tripidoro; in seguito ne fu nominato abate, carica che mantenne a lungo.
La fama della sua santità si diffuse in tutta la valle del fiume Crati, che sorge sulla Sila Grande, bagna Cosenza e la piana di Sibari; tanti uomini furono attirati da tale fama, desiderosi di vestire “l’abito angelico”, come veniva definito l’abito dei monaci osservanti la Regola di s. Basilio (basiliani).
Nello stesso tempo anche sua sorella Maria, fondava a Romano contrada di Buonvicino, un monastero femminile, che ebbe una buona fioritura.
Ciriaco fu convocato a Costantinopoli dall’imperatore d’Oriente Michele IV, ‘il Paflagone’ († 1041), dove gli guarì la figlia posseduta dal demonio, l’imperatore per riconoscenza, gli diede ampi privilegi per il suo monastero, con donazioni di terre e chiese, nei territori di Trigiano e Malvito (Cosenza).
Il Santo abate morì a Buonvicino il 19 settembre 1030 e fu sepolto nella chiesa dell’abbazia di Santa Maria dei Padri, che da allora venne intitolata al suo nome; sul suo sepolcro fiorirono vari
miracoli, per cui i fedeli di Buonvicino lo acclamarono Santo, come spesso avveniva allora, il paese lo festeggiò con solennità e lo proclamò suo patrono.
Al tempo del vescovo di San Marco Argentano, Defendente Brusato (1633-47), il padre Daniele da Coserica, predicando la Quaresima a Buonvicino, dichiarò di avere saputo con un avvertimento soprannaturale, che il corpo di San Ciriaco, giaceva nell’acqua e quindi rischiava la completa distruzione; il popolo fu scettico, allora il predicatore aprì di notte il sepolcro, trovandolo allagato, mentre le ossa emanavano un soave odore.
Il vescovo intervenne e con altri dignitari fece una pubblica esumazione; si trovarono tre cassette con epigrafi greche contenenti i corpi di San Ciriaco e di due monaci bizantini Cipriano e Basilio; un ossicino del santo fu posto in una teca, appesa poi alla statua del santo, che si porta annualmente in processione, il resto delle ossa fu chiuso in una nuova cassa, sistemata in luogo più decoroso.
Il rogito notarile dell’esumazione, andò perso nel 1647 durante un assalto al palazzo vescovile, di un gruppo di facinorosi. La festa della ricognizione delle reliquie, il 16 aprile, prese il sopravvento su quella del 19 settembre, giorno della sua morte. Il suo culto è ancora molto vivo a Buonvicino e dintorni.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Ciriaco di Buonvicino, pregate per noi.

*Santi Costantino Bogorodskij e 2 Compagni - Martiri (19 Settembre)
1852 – 1918

Costantino Alekseevic Golubev nacque nel 1852 nel villaggio di Baranovka, nel distretto di Vol'sk, governatorato di Saratov, dalla famiglia di un sagrestano, e fu battezzato con il nome del pio principe Costantino II Taumaturgo di Jaroslavl' (memoria il 19 settembre).
Portati a termine gli studi al seminario di Saratov, entrò a far parte della comunità della Santa Croce di Saratov.
Con il permesso del vescovo di Saratov e Caricyn, Tichon, partì come missionario della comunità alla volta del villaggio natale di Baranovka, la cui popolazione subiva la forte influenza dei Vecchi Credenti.
Costantino era infatti convinto che l'allontanamento dall'ortodossia avvenisse laddove venissero a mancare la predicazione religiosa e una buona istruzione. Per questo motivo si preoccupò di fondare una scuola religiosa parrocchiale: ne fu direttore e insegnante di catechismo, e stabilì che vi si parlasse la lingua russoslava.
Veniva intanto nominato missionario della comunità della Santa Croce, responsabile degli incontri missionari, e fu incaricato di fondare una biblioteca antiscismatica a Vol'sk.
Dopo appena tre anni, il vescovo Ticone, visti i successi ottenuti da Costantino, lo nominò missionario contro gli scismi e le sètte nella diocesi di Saratov, Durante tale servizio, svolto dal 1876 al 1895 e caratterizzato dall'ascetismo e dall'abnegazione, Costantino riuscì a impedire che molti passassero ai Vecchi Credenti o entrassero nelle sètte scismatiche, riuscendo anche a confermare nell'ortodossia più di cinquecento persone, sebbene le testimonianze dei contemporanei affermino che il loro numero fosse «difficile da calcolare».
L'attività del missionario attirò su di sé le attenzioni del metropolita di Mosca e di Kolomna, Sergio (Ljapidevskij), preoccupato dallo zelo dei Vecchi Credenti e dei membri delle sette scismatiche nella provincia di Mosca, in particolare nel distretto di Bogorodsk.
Il 4 marzo 1895 Costantino fu assegnato a Bogorodsk e nominato arciprete dal metropolita Sergio, e il 12 dello stesso mese il vescovo Ticone (Nikanorov) lo ordinò sacerdote. Padre Costantino seppe guadagnarsi rapidamente il rispetto non solo dei credenti ortodossi, ma anche dei Vecchi Credenti.
In quello stesso anno, fu inserito tra i direttori generali del comitato di tutela delle prigio­ni nella sezione distrettuale di Bogorodsk e iniziò ad adoperarsi attivamente in favore dei reclusi, celebrando la liturgia nella chiesa della prigione.
Per la sua opera di conversione dei Vecchi Credenti all'ortodos­sia ricevette la croce pettorale. Nella primavera del 1896 fu eletto presidente della sezione della Teofania della Comunità dei Santi Cirillo e Metodio di Bogorodsk. Nel 1897 fu nominato direttore della scuola religiosa parrocchiale di Istomkin, presso la fabbrica dei Fibaev, dove, a parure dal 1901, fu insegnante di catechismo.
Nel 1897 ricevette una nomina ai tic an­ni a membro del Consiglio tutorio della scuola secondaria femminile di Bogorodsk. Questo suo incarico gli fece comprendere la responsabilità dell'educazione religiosa e dell'istruzione delle donne in Russia, dalle quali dipendeva in maniera rilevante l'educazione religiosa del popolo. Così nel 1900 aprì presso la cattedrale di Bogojavlensk una scuola parrocchiale femminile. Nel 1901 venne nominato membro del co­mitato etico di Bogorodsk.
Nonostante le sue numerose attività, Costantino non abbandonò mai il servizio missionario, che lo vide impegnato nelle omelie tenute alla cattedrale e nell'organizzazione di incontri pubblici, sia in
città che nelle campagne del distretto di Bogorodsk.
Malgrado la vasta attività pastorale, trovava il tempo anche di pensare alla sua famiglia. I suoi sette figli vennero educati nel più rigido spirito ortodosso. Nel 1913 moriva la moglie Ma­ria Nikitina. Al termine di una delle funzioni serali, tra l'aprile e il maggio del 1918 (secondo altre fonti, in settembre-ottobre), fu arrestato dai rappresentanti dell'appena nata autorità bolscevica.
Senza che fosse sottoposto a regolare inchiesta e processo, fu condannato alla pena capitale. Costantino non chiese mai di essere liberato, pur sapendo di essere stato condannato a morte.
La data della sua morte è ignota. I bolscevichi lo ferirono e lo gettarono in una fossa, ricoprendolo di terra e seppellendolo ancora vivo. I testimoni della fucilazione di Costantino ricordano che insieme a lui furono fucilati una donna che aveva coraggiosamente cercato di difenderlo e un militare che si era rifiutato di eseguire la sentenza di morte. I corpi degli altri due martiri furono gettati nella stessa fossa di Costantino.
Per molti decenni il luogo della sua morte fu meta di culto dei cittadini di Bogorodsk, e sebbene gli atei più di una volta avessero spianato la collinetta di terra, tentando di cancellare qualunque segno della sepoltura del martire, i suoi figli spirituali ed estimatori continuarono a ricordare la sua figura, portando sulla tomba fiori, icone e candele, accendendo lampade e celebrando panichide in memoria dell'arciprete assassinato.
Alla fine del 1995 sono stati rinvenuti i resti incorrotti di Costantino e quelli degli altri due martiri.
Nel 1996 il patriarca di Mosca e di tutta la Russia, Alessio II ha autorizzato il culto locale, per la diocesi di Mosca, di Costantino e dei due martiri. La loro memoria è celebrata il 19 settembre, giorno onomastico di Costantino.

(Fonte: Bibliotheca Sanctorum Orientalium)
Giaculatoria - Santi Costantino Bogorodskij e 2 Compagni, pregate per noi.

*Beate Elisabetta, Barbara, Antonia e Caterina - Monache Mercedarie (19 Settembre)
Le monache mercedarie Beate: Elisabetta, Barbara, Antonia e Caterina, del convento di San Giuseppe in Bilbao (Spagna),
con una vita esemplare di virtù, osservanza e preghiera santamente raggiunsero la pace del Signore eterno Sposo.
L’Ordine le festeggia il 19 settembre.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beate Elisabetta, Barbara, Antonia e Caterina, pregate per noi.

*Sant'Emilia Maria Guglielma de Rodat - Fondatrice (19 Settembre)
Druelle (Rodez, Francia), 6 settembre 1787 - Villefranche-de-Rouergue, 19 settembre 1852
Maria Guglielma Emilia de Rodat è la fondatrice delle suore della Sacra Famiglia, che si dedicano a diverse categorie di persone in difficoltà: ragazze, bimbi, carcerati, malati. Nata nel 1787 a St. Martin de Limouze, in Francia, la sua giovinezza trascorse nel clima della Rivoluzione.
Diede vita alla congregazione a Villefranche nel 1815. I carismi mistici di cui era dotata furono da lei vissuti nel nascondimento.
Morì a Villefranche nel 1852. Papa Pio XII l'ha elevata agli onori degli altari come beata nel 1940 e poi, dieci anni dopo, l'ha proclamata santa. (Avvenire)

Martirologio Romano: A Villefranche nel territorio di Rodez in Francia, Santa Maria Guglielma Emilia de Rodat, vergine, che fondò la Congregazione delle Suore della Santa Famiglia per la formazione della gioventù femminile e l’assistenza ai poveri.
Nel bel castello di Druelle (vicino a Rodez, nel sud della Francia) il 6 settembre 1787 nacque Maria
Guglielma Emilia, primogenita di Gian Luigi de Rodat e di Enrichetta de Pomeyrols, entrambi appartenenti ad antica nobiltà. Aveva appena due anni quando venne affidata alla nonna materna che viveva nell’appartato castello di Ginals, nei pressi di Villefranche de Rouergue, lontana dagli sconvolgimenti della Rivoluzione Francese prima e napoleonica poi. Era con loro anche una zia monaca visitandina, secolarizzata a causa delle soppressioni religiose. Dal carattere vivace, crebbe agiatamente mantenendo profondi sentimenti religiosi. A undici anni fece la prima comunione, in modo semiclandestino visti i tempi difficili.
All’ingresso in società, a sedici anni, sentì una certa insofferenza verso lo stile di vita austero in cui era cresciuta. Cambiò confessore, scontrandosi inevitabilmente con la nonna. Fece ritorno dai genitori, ma anche qui dovette adeguarsi alle abitudini monotone della casa. I principi religiosi di Emilia avevano radici profonde e la festa del Corpus Domini del 1804 segnò la sua maturazione spirituale: decise che avrebbe speso a gloria di Dio tutta la vita. Compiuti i diciotto anni, iniziò a collaborare con le suore di Saint Cyr di Villefranche, presso cui aveva studiato.
Il desiderio di unirsi alla comunità era però di difficile attuazione in quanto, in realtà, quell’istituto era gestito da religiose di differenti congregazioni, soppresse durante la Rivoluzione.
Non seguivano un’unica Regola e per l’età già avanzata erano poco propense ad accettare le idee innovative di Emilia. Iniziò invece un ottimo rapporto con l’abate Antonio Marty, cappellano della scuola, che per tre volte le suggerì di realizzare la propria vocazione altrove. Andò dalle Dame di Nevers a Figeac, poi a Cahor e infine dalle Suore della Carità di Moissac, ma inutilmente. Ogni volta tornava a Villefranche con molta incertezza e una profonda pena nel cuore. La svolta arrivò nella primavera del 1815, durante la visita ad un’ammalata.
Comprese il reale disagio economico e morale in cui vivevano i poveri dei paesi circostanti e che il modo duraturo per migliorare le condizioni dei loro figli era istruirli: divenne lo scopo della sua vita. Importante fu l’incoraggiamento dell’abate Marty.
I primi bambini (quaranta!) furono ospitati in una piccola stanza dell’Istituto St. Cyr. Tre giovani donne, seguendo il suo esempio, costituirono il nucleo della futura Congregazione delle Suore della Santa Famiglia, dette di Villefranche. L’iniziativa suscitò molta ammirazione, ma pure i malumori di alcune religiose della casa e di parte del clero locale. Emilia, con l’aiuto del Marty, non si scoraggiò e l’anno successivo aprì una scuola gratuita in un locale preso in affitto. Poco dopo le religiose della casa di St. Cyr lasciarono i locali alla Rodat che, con otto compagne, aveva intanto pronunciato pubblicamente i voti religiosi.
I bambini accolti erano diventati cento. Nel 1819 Madre Emilia acquistò anche un monastero abbandonato, ma la morte prematura di alcune suore e di alcune orfanelle, a causa di un’epidemia, fece scandalo. Si sentì indegna di portare avanti un progetto tanto ambizioso e pensò di porre fine al nascente istituto, confluendo nell’Ordine delle Figlie di Maria, da poco fondato. Furono proprio le compagne a convincerla a portare avanti un’opera tanto necessaria. Iniziarono per Emilia, in quegli anni, alcuni disturbi di salute che durarono poi tutta la vita: un tumore al naso e un ronzio permanente all’udito.
Le sue suore, nel frattempo, erano richieste anche in altre città. La Madre, come ormai era chiamata, aprì una casa ad Aubin dove si era recata per farsi curare, portando avanti il progetto nonostante il dissenso dell’abate Marty che, chiamato ad altri incarichi (Vicario Generale della diocesi di Rodez), interruppe la collaborazione. Il numero delle case crebbe e le suore si dedicarono, oltre che all’insegnamento, anche all’assistenza ospedaliera e carceraria. Emilia amava però, soprattutto, la preghiera contemplativa ed ebbe l’ispirazione di fondare anche alcune comunità di claustrali che divennero il motore silenzioso di tutta l’opera.
Madre Rodat era per tutti un punto di riferimento anche se il carattere forte e a tratti austero, alle volte, causava malumori. Con cortesia e arguzia trovava la soluzione ad ogni problema. Temendo tuttavia di peccare d’orgoglio, visse gli ultimi anni in modo forse eccessivamente dimesso.
Nell’aprile del 1852 il tumore che da tanti anni la tormentava attaccò l’occhio sinistro. Consapevole della gravità della malattia lasciò l’incarico di Superiora Generale. La salute peggiorò costantemente fino al 19 settembre, giorno in cui finalmente fu accolta tra le braccia del Padre Celeste. Molti, con la sua intercessione, ottenevano grazie e la tomba divenne meta di pellegrinaggi. Beatificata nel 1940, fu canonizzata nell’Anno Santo 1950 (il 23 aprile) da Papa Pio XII.
L’opera di S. Emilia, attraverso la Congregazione delle Suore della Santa Famiglia, è oggi presente in varie parti del mondo.
(Autore: Daniele Bolognini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Maria Guglielma Emilia nasce da genitori nobili e ricchi (Gian Luigi de Rodat ed Enrichetta de Pomeyrols) in un castello della Francia meridionale. Non ha ancora due anni quando scoppia la Rivoluzione. I genitori la portano dalla nonna materna, a Villeneuve de Rouergue, in un luogo più sicuro. Lei trascorre l’infanzia lì, mentre si succedono in Francia la monarchia costituzionale, la guerra, il terrore, la reazione al terrore.
Lì, nel 1798, riceve la prima Comunione in un clima ancora malsicuro, perché il terrore è finito, ma ogni anno c’è una congiura di destra o di sinistra, con polizia scatenata, processi, esecuzioni. Emilia ha 15 anni nel 1802, quando tutte le chiese di Francia sono riaperte al culto, e il “primo console” Napoleone Bonaparte va alla Messa di Pasqua in Notre-Dame di Parigi, dove i rivoluzionari avevano inscenato il “culto della Dea Ragione”.
Si ricomincia, dunque. Ma spesso con divisioni tra i sacerdoti, sia per i rispettivi comportamenti
durante la Rivoluzione, sia per le visioni pastorali in contrasto: c’è chi lavora per un apostolato adatto ai tempi nuovi, e chi vorrebbe rifare tutto come prima della Rivoluzione. Anche Ordini e Congregazioni si ricostituiscono in mezzo a queste difficoltà, e ne fa esperienza personale Emilia.
A 17 anni, nella festa del Corpus Domini del 1804, lei ha scelto di farsi suora, e per un primo contatto è ritornata nel 1805 a Villefranche de Rouergue dalle sue prime educatrici, le suore di Saint-Cyr. Sono quelle che conosce meglio, ma si trovano anch’esse tra incertezze e contrasti, con religiose di età avanzata, e alcune provenienti da altri istituti, con regole differenti. Prova ancora in altre Congregazioni: le Suore della Carità, quelle dell’Adorazione perpetua, quelle della Misericordia. Ma non riesce a decidersi tra tanti modelli di vita.
Poi il segnale la raggiunge da un’altra parte: dalle case degli ammalati privi di assistenza che va a visitare, e dai loro figli privi di istruzione, condannati all’indigenza. Parte di lì, Emilia: incominciando a raccogliere e istruire bambini in una stanzetta che le danno le suore di Saint-Cyr. Più tardi, trasferendosi, esse lasceranno tutta la loro casa a lei, a una decina di giovani donne che l’hanno raggiunta, al centinaio di bambini che stanno loro intorno.
Qui Emilia e le sue compagne prendono i voti, chiamandosi Suore della Sacra Famiglia.
C’è un momento di lutto e di crisi nel 1819, per la morte di alcune bambine e alcune suore, durante un’epidemia. Scoraggiata, lei vorrebbe cedere tutto a un altro Istituto ma le consorelle la persuadono a continuare, anche perché la loro opera è richiesta da tante parti. Così l’Istituto si sviluppa, mentre la fondatrice perde le forze. Arrivano disturbi all’udito, un tumore al naso.
Lei continua a seguire l’Istituto, che presto sarà chiamato a lavorare pure negli ospedali e tra i detenuti: ma alle consorelle chiede innanzitutto l’impegno della preghiera, e quello del silenzio. Per tutta la vita affianca l’attività alla contemplazione. E, per conto suo personale, aggiunge a tutto questo la sofferenza fisica: il suo tumore la perseguita, giungerà ad aggredirle un occhio. Abbandona allora le funzioni di Madre generale, e muore pochi mesi dopo, mentre l’Istituto è ormai presente in Francia con 36 case.
Pio XII l’ha proclamata Santa nel 1950. Il suo corpo è custodito a Villefranche, nella Casa madre dell’Istituto.

(Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Emilia Maria Guglielma de Rodat, pregate per noi.

*Eustochio di Tours - Vescovo (19 Settembre)
Martirologio Romano:
A Tours nella Gallia lugdunense, ora in Francia, Sant’Eustochio, vescovo, che, senatore, fu uomo santo e pio e succedette a San Brizio.
Eustochio, quinto vescovo di Tours, successe a san Brizio verso il 444; dopo aver governato il suo gregge per diciassette anni, morì verso il 461 e fu sepolto nella basilica di san Martino. San Gregorio di Tours assicura che era usato da una famiglia senatoriale dell’Alvernia.
Gli si attribuisce la fondazione di parrocchie a Brave (o Brissac), Yzeures, Loches e Dolus, così come la costruzione della chiesa destinata a ospitare le reliquie dei santi Gervasio e Protasio che san Martino aveva ricevuto dall’Italia.
Presiedette il concilio di Angers nel 453 e, poco dopo, quello di Vannes. Avrebbe sottoscritto con altri una lettera la cui autenticità è dubbia.
Tardivamente iscritto nel Martirologio Romano al 19 settembre, Eustochio fu onorato dal secolo IX.

(Autore: Jacques Houssain - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Eustochio di Tours, pregate per noi.

*Beata Francesca Cuallado Baixauli - Vergine e Martire (19 Settembre)
Schede dei gruppi a cui appartiene:
“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia” Beatificati nel 2001
“Martiri della Guerra di Spagna”

Francisca Cualladó Baixauli, fedele laica, nacque il 3 dicembre 1890 a Valencia e fu battezzata il 5 dicembre 1890 nella chiesa parrocchiale di San Valero e San Vincenzo martire.
Cresimata nel 1906, ricevette la prima comunione l’11 maggio 1909 nella chiesa parrocchiale di San
Pietro Apostolo di Masanasa. Molto giovane rimase orfana di padre e si curò di sua madre ammalata.
Visse del suo lavoro di sarta e si dedicò con ardore alla pastorale sociale come membro del Sindacato cattolico femminile. Partecipò quotidianamente all’Eucaristia e alla recita del rosario.
Si iscrisse all’Azione Cattolica e si dedicò alla catechesi e alla carità verso i bisognosi offrendo tutti i suoi beni in elemosina. Imprigionata a metà settembre 1936, subì il martirio il 19 settembre 1936 a Benifayó.
Le tagliarono la lingua per aver gridato: “Viva Cristo Re!”. La sua beatificazione è stata celebrata da Papa Giovanni Paolo II l’11 marzo 2001.

Martirologio Romano: Nel villaggio di Benifayó nel territorio di Valencia sempre in Spagna, Beata Francesca Cualladó Baixauli, vergine e martire, che versò il sangue per Cristo sempre nella stessa persecuzione contro la fede.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Francesca Cuallado Baixauli, pregate per noi.

*San Gennaro - Vescovo e Martire (19 Settembre)
Napoli? III sec. – Pozzuoli, 19 settembre 305

Gennaro era nato a Napoli, nella seconda metà del III secolo, e fu eletto vescovo di Benevento, dove svolse il suo apostolato, amato dalla comunità cristiana e rispettato anche dai pagani.
Nel contesto delle persecuzioni di Diocleziano si inserisce la storia del suo martirio.
Egli conosceva il diacono Sosso (o Sossio) che guidava la comunità cristiana di Miseno e che fu incarcerato dal giudice Dragonio, proconsole della Campania.
Gennaro saputo dell'arresto di Sosso, volle recarsi insieme a due compagni, Festo e Desiderio a portargli il suo conforto in carcere.
Dragonio informato della sua presenza e intromissione, fece arrestare anche loro tre, provocando le proteste di Procolo, diacono di Pozzuoli e di due fedeli cristiani della stessa città, Eutiche ed Acuzio.
Anche questi tre furono arrestati e condannati insieme agli altri a morire nell'anfiteatro, ancora oggi esistente, per essere sbranati dagli orsi.
Ma durante i preparativi il proconsole Dragonio, si accorse che il popolo dimostrava simpatia verso i prigionieri e quindi prevedendo disordini durante i cosiddetti giochi, cambiò decisione e il 19 settembre del 305 fece decapitare i prigionieri. (Avvenire)

Patronato: Napoli
Etimologia: Gennaro = nato nel mese di gennaio, dal latino
Emblema: Bastone pastorale, Palma
Martirologio Romano: San Gennaro, vescovo di Benevento e martire, che in tempo di persecuzione contro la fede, a Pozzuoli vicino a Napoli subì il martirio per Cristo.
Fra i santi dell’antichità è certamente uno dei più venerati dai fedeli e se poi consideriamo che questi fedeli, sono primariamente napoletani, si può comprendere per la nota estemporaneità e focosa fede che li distingue, perché il suo culto, travalicando i secoli, sia giunto intatto fino a noi, accompagnato periodicamente dal misterioso prodigio della liquefazione del suo sangue, che tanto attira i napoletani.
Prima di tutto il suo nome diffuso in Campania e anche nel Sud Italia, risale al latino ‘Ianuarius’ derivato da ‘Ianus’ (Giano) il dio bifronte delle chiavi del cielo, dell’inizio dell’anno e del passaggio delle porte e delle case.
Il nome era in genere attribuito ai bambini nati nel mese di gennaio “Ianuarius”, undicesimo mese dell’anno secondo il calendario romano, ma il primo dopo la riforma del II secolo d.C.
Gennaro appartenne alla gens Ianuaria, perché Ianuarius che significa “consacrato al dio Ianus” non era il suo nome, che non ci è pervenuto, ma il gentilizio corrispondente al nostro cognome.
Vi sono ben sette antichi ‘Atti’, ‘Passio’, ‘Vitae’, che parlano di Gennaro, fra i più celebri gli “Atti Bolognesi” e gli “Atti Vaticani”.
Da questi documenti si apprende che Gennaro nato a Napoli? nella seconda metà del III secolo, fu eletto vescovo di Benevento, dove svolse il suo apostolato, amato dalla comunità cristiana e rispettato anche dai pagani per la cura, che impiegava nelle opere di carità a tutti indistintamente; si era nel primo periodo dell’impero di Diocleziano (243-313), il quale permise ai cristiani di occupare anche posti di prestigio e una certa libertà di culto.
Nella sua vecchiaia però, sotto la pressione del suo cesare Galerio (293), firmò ben tre editti contro i cristiani, provocando una delle più feroci persecuzioni, colpendo la Chiesa nei suoi membri e nei suoi averi per impedirle di soccorrere i poveri e spezzare così il favore popolare.
E in questo contesto s’inserisce la storia del martirio di Gennaro; egli conosceva il diacono Sosso (o Sossio) che guidava la comunità cristiana di Miseno, importante porto romano sulla costa occidentale del litorale flegreo; Sosso fu incarcerato dal giudice Dragonio, proconsole della Campania, per le funzioni religiose che quotidianamente venivano celebrate nonostante i divieti.
In quel periodo il vescovo di Benevento Gennaro, accompagnato dal diacono Festo e dal lettore Desiderio, si trovavano a Pozzuoli in incognito, visto il gran numero di pagani che si recavano nella vicinissima Cuma ad ascoltare gli oracoli della Sibilla Cumana e aveva ricevuto di nascosto anche qualche visita del diacono di Miseno (località tutte vicinissime tra loro).
Gennaro saputo dell’arresto di Sosso, volle recarsi insieme ai suoi due compagni Festo e Desiderio a portargli il suo conforto in carcere e anche con alcuni scritti, per esortarlo insieme agli altri cristiani prigionieri a resistere nella fede.
Il giudice Dragonio informato della sua presenza e intromissione, fece arrestare anche loro tre, provocando le proteste di Procolo, diacono di Pozzuoli e di due fedeli cristiani della stessa città, Eutiche ed Acuzio.
Anche questi tre furono arrestati e condannati insieme agli altri a morire nell’anfiteatro, ancora oggi esistente, per essere sbranati dagli orsi, in un pubblico spettacolo.
Ma durante i preparativi il proconsole Dragonio, si accorse che il popolo dimostrava simpatia verso i prigionieri e quindi prevedendo disordini durante i cosiddetti giochi, cambiò decisione e il 19
settembre del 305 fece decapitare i prigionieri cristiani nel Foro di Vulcano, presso la celebre Solfatara di Pozzuoli.
Si racconta che una donna di nome Eusebia riuscì a raccogliere in due ampolle (i cosiddetti lacrimatoi) parte del sangue del vescovo e conservarlo con molta venerazione; era usanza dei cristiani dell’epoca di cercare di raccogliere corpi o parte di corpi, abiti, ecc. per poter poi venerarli come reliquie dei loro martiri.
I cristiani di Pozzuoli, nottetempo seppellirono i corpi dei martiri nell’agro Marciano presso la Solfatara; si presume che San Gennaro avesse sui 35 anni, come pure giovani, erano i suoi compagni di martirio.
Oltre un secolo dopo, nel 431 (13 aprile) si trasportarono le reliquie del solo s. Gennaro da Pozzuoli nelle catacombe di Capodimonte a Napoli, dette poi “Catacombe di San Gennaro”, per volontà dal vescovo di Napoli, San Giovanni I e sistemate vicino a quelle di Sant'Agrippino vescovo.  
Le reliquie degli altri sei martiri, hanno una storia a parte per le loro traslazioni, ma in maggioranza ebbero culto e spostamento nelle loro zone di origine.
Durante il trasporto delle reliquie di s. Gennaro a Napoli, la suddetta Eusebia o altra donna, alla quale le aveva affidate prima di morire, consegnò al vescovo le due ampolline contenenti il sangue del martire; a ricordo delle tappe della solenne traslazione vennero erette due cappelle: San Gennariello al Vomero e San Gennaro ad Antignano.
Il culto per il Santo vescovo si diffuse fortemente con il trascorrere del tempo, per cui fu necessario l’ampliamento della catacomba.
Affreschi, iscrizioni, mosaici e dipinti, rinvenuti nel cimitero sotterraneo, dimostrano che il culto del martire era vivo sin dal V secolo, tanto è vero che molti cristiani volevano essere seppelliti accanto a lui e le loro tombe erano ornate di sue immagini.
Va notato che già nel V secolo il martire Gennaro era considerato ‘Santo’ secondo l’antica usanza ecclesiastica, canonizzazione poi confermata da papa Sisto V nel 1586.
La tomba divenne come già detto, meta di continui pellegrinaggi per i grandi prodigi che gli venivano attribuiti; nel 472 ad esempio, in occasione di una violenta eruzione del Vesuvio, i napoletani accorsero in massa nella catacomba per chiedere la sua intercessione, iniziando così l’abitudine ad invocarlo nei terremoti e nelle eruzioni, e mentre aumentava il culto per San Gennaro, diminuiva man mano quello per Sant' Agrippino vescovo, fino allora patrono della città di Napoli; dal 472 San Gennaro cominciò ad assumere il rango di patrono principale della città.
Durante un’altra eruzione nel 512, fu lo stesso vescovo di Napoli, Santo Stefano I, ad iniziare le preghiere propiziatorie; dopo fece costruire in suo onore, accanto alla basilica costantiniana di Santa Restituta (prima cattedrale di Napoli), una chiesa detta Stefania, sulla quale verso la fine del secolo XIII, venne eretto il Duomo; riponendo nella cripta il cranio e la teca con le ampolle del sangue.
Questa provvidenziale decisione, preservò le suddette reliquie, dal furto operato dal longobardo Sicone, che durante l’assedio di Napoli dell’831, penetrò nelle catacombe, allora fuori della cinta muraria della città, asportando le altre ossa del santo che furono portate a Benevento, sede del ducato longobardo.
Le ossa restarono in questa città fino al 1156, quando vennero traslate nel santuario di Montevergine (AV), dove rimasero per tre secoli, addirittura se ne perdettero le tracce, finché durante alcuni scavi effettuati nel 1480, casualmente furono ritrovate sotto l’altare maggiore, insieme a quelle di altri santi, ma ben individuate da una lamina di piombo con il nome.
Il 13 gennaio 1492, dopo interminabili discussioni e trattative con i monaci dell’abbazia verginiana,
le ossa furono riportate a Napoli nel succorpo del Duomo ed unite al capo ed alle ampolle.
Intanto le ossa del cranio erano state sistemate in un preziosissimo busto d’argento, opera di tre orafi provenzali, dono di Carlo II d’Angiò nel 1305, al Duomo di Napoli.
Successivamente nel 1646 il busto d’argento con il cranio e le ormai famose ampolline col sangue, furono poste nella nuova artistica Cappella del Tesoro, ricca di capolavori d’arte d’ogni genere.
Le ampolle erano state incastonate in una teca preziosa fatta realizzare da Roberto d’Angiò, in un periodo imprecisato del suo lungo regno (1309-1343).
La teca assunse l’aspetto attuale nel XVII secolo, racchiuse fra due vetri circolari di circa dodici centimetri di diametro, vi sono le due ampolline, una più grande di forma ellittica schiacciata, ripiena per circa il 60% di sangue e quella più piccola cilindrica con solo alcune macchie rosso-brunastre sulle pareti; la liquefazione del sangue avviene solo in quella più grande.
Le altre reliquie poste in un’antica anfora, sono rimaste nella cripta del Duomo, su cui s’innalza l’abside e l’altare maggiore della grande Cattedrale.
San Gennaro è conosciuto in tutto il mondo, grazie anche al culto esportato insieme ai tantissimi emigranti napoletani, suoi fedeli, non solo per i suoi prodigiosi interventi nel bloccare le calamità naturali, purtroppo ricorrenti che colpivano Napoli, come pestilenze, terremoti e le numerose eruzioni del vulcano Vesuvio, croce e vanto di tutto il Golfo di Napoli; ma anche per il famoso prodigio della liquefazione del sangue contenuto nelle antiche ampolle, completamente sigillate e custodite in una nicchia chiusa con porte d’argento, situata dietro l’altare principale, della già menzionata Cappella del Tesoro.
Il Tesoro è oggi custodito in un caveau di una banca, essendo ingente e preziosissimo, quale testimonianza dei doni fatti al santo patrono da sovrani, nobili e quanti altri abbiano ricevuto grazie per sua intercessione, o alla loro persona e famiglia o alla città stessa.
Le chiavi della nicchia, sono conservate dalla Deputazione del Tesoro di San Gennaro, da secoli composta da nobili e illustri personaggi napoletani con a capo il sindaco della città.
Il miracolo della liquefazione del sangue, che è opportuno dire non è un’esclusiva del santo vescovo, ma anche di altri santi e in altre città, ma che a Napoli ha assunto una valenza incredibile, secondo un antico documento, è avvenuto per la prima volta nel lontano 17 agosto 1389; non è escluso, perché non documentato, che sia avvenuto anche in precedenza. Detto prodigio avviene da allora tre volte l’anno; nel primo sabato di maggio, in cui il busto ornato di preziosissimi paramenti vescovili e il reliquiario con la teca e le ampolle, vengono portati in processione, insieme ai busti d’argento dei numerosi Santi compatroni di Napoli, anch’essi esposti nella suddetta Cappella del Tesoro, dal Duomo alla Basilica di Santa Chiara, in ricordo della prima traslazione da Pozzuoli a Napoli, e qui dopo le rituali preghiere, avviene la liquefazione del sangue raggrumito; la seconda avviene il 19 settembre, ricorrenza della decapitazione, una volta avveniva nella Cappella del Tesoro, ma per il gran numero di fedeli, il busto e le reliquie sono oggi esposte sull’altare maggiore del Duomo, dove anche qui dopo ripetute preghiere, con la presenza del cardinale arcivescovo, autorità civili e fedeli, avviene il prodigio tra il tripudio generale.
Avvenuta la liquefazione la teca sorretta dall’arcivescovo, viene mostrata quasi capovolgendola ai fedeli e al bacio dei più vicini; il sangue rimane sciolto per tutta l’ottava successiva e i fedeli sono ammessi a vedere da vicini la teca e baciarla con un prelato che la muove per far constatare la liquidità, dopo gli otto giorni viene di nuovo riposta nella nicchia e chiusa a chiave.
Una terza liquefazione avviene il 16 dicembre “festa del patrocinio di San Gennaro”, in memoria della disastrosa eruzione del Vesuvio nel 1631, bloccata dopo le invocazioni al Santo.
Il prodigio così puntuale, non è sempre avvenuto, esiste un diario dei Canonici del Duomo che riporta nei secoli, anche le volte che il sangue non si è sciolto, oppure con ore e giorni di ritardo, oppure a volte è stato trovato già liquefatto quando sono state aperte le porte argentee per prelevare le ampolle; il miracolo a volte è avvenuto al di fuori delle date solite, per eventi straordinari.
Il popolo napoletano nei secoli ha voluto vedere nella velocità del prodigio, un auspicio positivo per il futuro della città, mentre una sua assenza o un prolungato ritardo è visto come fatto negativo per possibili calamità da venire.
La catechesi costante degli ultimi arcivescovi di Napoli, ha convinto la maggioranza dei fedeli, che anche la mancanza del prodigio o il ritardo vanno vissuti con serenità e intensificazione semmai di
una vita più cristiana.
Del resto questo “miracolo ballerino”, imprevedibile, è stato oggetto di profondi studi scientifici, l’ultimo nel 1988, con i quali usando l’esame spettroscopico, non potendosi aprire le ampolline sigillate da tanti secoli, si è potuto stabilire la presenza nel liquido di emoglobina, dunque sangue.
La liquefazione del sangue è innegabile e spiegazioni scientifiche finora non se ne sono trovate, come tutte le ipotesi contrarie formulate nei secoli, non sono mai state provate.
È singolare il fatto, che a Pozzuoli, contemporaneamente al miracolo che avviene a Napoli, la pietra conservata nella chiesa di San Gennaro, vicino alla Solfatara e che si crede sia il ceppo su cui il martire poggiò la testa per essere decapitato, diventa più rossa. Pur essendo venuti tanti Papi a Napoli in devoto omaggio e personalmente baciarono la teca lasciando doni, la Chiesa è bene ricordarlo, non si è mai pronunciata ufficialmente sul miracolo di San Gennaro.
Papa Paolo VI nel 1966, in un discorso ad un gruppo di pellegrini partenopei, richiamò chiaramente il prodigio: “…come questo sangue che ribolle ad ogni festa, così la fede del popolo di Napoli possa ribollire, rifiorire ed affermarsi”.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Gennaro, pregate per noi.

*Beato Giacinto Hoynelos Gonzalez - Martire (19 Settembre)
“Beati Martiri Spagnoli Fatebenefratelli” - Senza Data (Celebrazioni singole)
“Martiri della Guerra di Spagna” - Senza Data (Celebrazioni singole)

Matarrepudio, Spagna, 11 settembre 1914 - Ciempozuelos, Spagna, 19 settembre 1936

Il 19 settembre 1936 fu ucciso Fra Giacinto Hoyuelos, nato nel 1914 a Matarrepudio, nella diocesi di Burgos, il quale, dal 27 gennaio 1936, compiva il servizio di leva, per concessione dello stato,
presso la a Clinica Psichiatrica Militare, annessa, ma separata dalla casa-ospedaliera di Ciempozuelos.
Allorché stava per salire sulla camionetta che lo avrebbe portato al carcere o alla morte, il direttore della Clinica Militare aveva voluto che vi rimanesse con il consenso dei suoi superiori. Gli infermieri marxisti cominciarono a detestarlo.
Una notte lo condussero davanti al Comitato.
Gli furono fatte domande sulla sua condizione e sulle sue convinzioni religiose e politiche alle quali non diede risposta.
I miliziani lo trasportarono allora sul ponte San Cosma, nei pressi della stazione ferroviaria, gli misero una corda al collo che avevano appesa al ponte, lo strangolarono e poi lo presero a fucilate. Aveva 22 anni.
Fu beatificato da Papa Giovanni Paolo II i 25 ottobre 1992.

Martirologio Romano: In località Ciempozuelos vicino a Madrid in Spagna, beato Giacinto Hoyuelos González, religioso dell’Ordine di San Giovanni di Dio e martire, che, durante la persecuzione contro la Chiesa, subì un glorioso martirio per aver professato la sua fede in Cristo.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giacinto Hoynelos Gonzalez, pregate per noi.

*San Giovanni di Spoleto - Vescovo (19 Settembre)
m. 19 settembre 887
Giovanni nacque a Spoleto, capitale dell'omonimo potente Ducato, in pieno secolo IX. Cresciuto ed educato presso la scuola episcopale cittadina, fu ordinato presbitero e si distinse per lo spirito di preghiera, umiltà e carità. Alla morte del vescovo Pietro II fu chiamato a succedergli nella cattedra episcopale.
Duca di Spoleto era Guido II di Nantes - futuro imperatore - che nella seconda metà dell'anno 887 si portò in Francia, aspirando alla successione di quel regno, con la moglie Ageltrude, il figlio Lamberto - anche lui futuro imperatore - e il nipote Guido IV; la Corte fu naturalmente accompagnata dall'esercito. Un trattato di pace, stipulato in precedenza dal Duca con i Saraceni che infestavano l'Italia centrale e meridionale, dava a sperare nella sicurezza di Spoleto, circondata anche da fortissime mura.
I Saraceni, certi che Guido II sarebbe rimasto in Francia come sovrano, assalirono Spoleto e la depredarono recando anche notevoli danni agli edifici. Il popolo che riuscì a salvarsi, si rifugiò nei dintorni, mentre gli invasori si nascosero nei boschi circostanti per depredare i viandanti. L'arcivescovo Giovanni, unica autorità rimasta in città e conscio del pericolo, visitava i suoi fedeli dispersi.
Il 19 settembre 887, dopo aver celebrato i Sacri Misteri in una delle basiliche martiriali presso Spoleto, mentre ritornava ancora rivestito degli abiti sacri, fu circondato dai Saraceni che lo colpirono con le lance ed infine lo decapitarono.
Il corpo dell'arcivescovo-martire riposa, veneratissimo, in preziosa urna, entro l'altare maggiore della basilica di San Pietro extra moenia in Spoleto ed è invocato per le malattie tumorali e per la concordia famigliare.

(Autore: Mons. Giorgio Orioli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Giovanni di Spoleto, pregate per noi.

*San Lamberto (Lantberto) di Frisinga - Vescovo (19 Settembre)
† 19 settembre 957
Martirologio Romano:
A Frisinga nella Baviera, in Germania, San Lantberto, vescovo.
Lamberto, che impropriamente è stato collegato all’Ordine Benedettino, divenne vescovo di Frisinga durante la penosa epoca delle invasioni ungheresi e delle difficoltà politiche sotto Ottone I. La leggenda ha amplificato i pochi particolari storici che si conoscono nei suoi riguardi, riferendo, tra l’altro, che ancora lattante, «già praticava il digiuno» e che divenuto vescovo nel 955, al tempo dell’invasione degli Unni avrebbe, con le sue preghiere, salvato la cattedrale dalla distruzione.
Morto il 19 settembre 957, Lamberto ricevette in alcuni documenti il titolo di santo fin dal secolo
XI, senza che allora vi fosse alcun culto liturgico: anzi gli stessi calendari e necrologi che ne iscrivono il nome al 19 settembre non lo chiamano ancora Santo.
Pare che vi sia stata una elevatio o translatio delle sue reliquie verso il 1350. Parimenti verso la fine del secolo XIV o nel XV si registra l’esistenza di un culto formale, diffusosi nella diocesi di Frisinga contemporaneamente al formarsi dei racconti leggendari attorno alla sua figura.
Non vi fu mai confusione con il culto del suo omonimo di Maastricht, già onorato a Frisinga fin dalla fine dell’VIII secolo: ma verso la fine del XVI secolo nella venerazione ufficiale di questa diocesi, il Santo vescovo di Frisinga sostituì quello di Maastricht, il cui culto cadde in oblio nell’epoca moderna.
Oggi la festa si celebra a Frisinga il 18 settembre. Il corpo di Lamberto fu deposto nella cripta della cattedrale, in una tomba restaurata recentemente, di cui si riferisce che fin dal secolo XI già riceveva l’omaggio dei fedeli.
Non esiste alcuna Vita del santo e gli Acta SS. dei Bollandisti non ne fanno menzione. La più antica rappresentazione iconografica di Lamberto risalirebbe al secolo XII; a partire però dal secolo XV appare più spesso nei dipinti e nelle sculture con attributi attinti alla leggenda: specialmente con un agnello ai piedi, allusivo al nome di Lambertus.

(Autore: Rombaut Van Doren - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Lamberto di Frisinga, pregate per noi.

*Santa Maria de Cervellon - Mercedaria (19 Settembre)
Barcellona, Spagna, 1 dicembre 1230 - Barcellona, Spagna, 19 settembre 1290
Proveniente dalla nobile famiglia de Cervellón, Santa Maria, nacque a Barcellona (Spagna), l'1 dicembre 1230.
Attratta dalla carità che infondevano i frati mercedari redentori degli schiavi diventò la consolatrice dei poveri, degli infermi e degli schiavi nell'Ospedale di Sant'Eulalia.
Il 25 marzo 1265 emise la professione religiosa come consorella dell'Ordine Mercedario, ricevendo l'abito dalle mani di San Bernardo da Corbara; la seguirono poi le: Beata Eulalia Pinos, Beata Elisabetta Berti, Beata Maria de Requesens ed in seguito si aggregò Santa Colagia.
Santa Maria de Cervellón fu così la fondatrice delle monache mercedarie ed é anche chiamata Santa Maria del Soccorso perché sia in vita che dopo la morte fu vista più di una volta, accorrere sulle ali del vento in aiuto delle navi della redenzione flagellate dalle onde del mare in tempesta. Dopo una vita piena di umiltà, veglie, digiuni e con l'aver operato strepitosi miracoli, emigrò verso
il Signore il 19 settembre 1290, il suo corpo incorrotto si conserva nella Basilica della Mercede in Barcellona.
Martirologio Romano: A Barcellona nella Catalogna in Spagna, Santa Maria de Cervellón, vergine dell’Ordine della Beata Maria della Mercede, che fu comunemente chiamata Maria del Soccorso per l’aiuto che offriva a chiunque lo invocasse.
Tempo di prosperità il XIII secolo per la Catalogna, protagonista del commercio mediterraneo.
E prospera in Barcellona è la famiglia de Cervelló, nella quale è nata Maria, che a 18 anni vorrebbe farsi monaca.
Le parlano dell’Ordine intitolato alla Madonna della Mercede: nuovo, fondato da Pietro Nolasco con l’aiuto di re Pietro I d’Aragona (la Catalogna è unita, ma non soggetta, al regno aragonese). Scopo del nuovo Ordine: il “riscatto degli schiavi”, ossia dei cristiani che, fatti prigionieri in terra o in mare, sono stati poi venduti come schiavi in Africa. I Mercedari se li vanno a riprendere pagando i loro padroni, e poi li riportano in patria. L’Ordine è maschile, ma gruppi di donne lo sostengono con preghiere e offerte per le costose spedizioni in Africa. Maria e sua madre si uniscono al gruppo in Barcellona; quando la madre muore, Maria dona il suo patrimonio ai Mercedari.
Nel 1275 i gruppi femminili di sostegno si trasformano canonicamente in “Terz’Ordine Mercedario”, con statuto, abito religioso e una priora che è appunto Maria.
E lei sviluppa un’opera che continua e completa il riscatto: prende cioè “in carico” gli ex schiavi rimpatriati (qualcuno è solo al mondo, molti sono privi di tutto) per aiutarli a rendersi indipendenti. Dopo il riscatto, la sicurezza.
Così si guadagna il titolo María del Socos, ossia “del soccorso”.
E dopo la sua morte le si attribuiscono prodigi: naufragi evitati, marinai condotti in salvo. Nasce un culto spontaneo, che provocherà l’avvio di un processo canonico, che però sembra destinato a non concludersi, finché nel 1692 Innocenzo XII, con decisione personale, approva il culto che le si tributa già da tempo, e più tardi il suo nome viene inserito nel Martirologio romano.
María del Socos è stata sepolta a Barcellona nella chiesa della Mercede, devastata come le altre (esclusa la cattedrale) nel 1936, durante la guerra civile spagnola, quando molti preti e suore furono uccisi solo perché preti e suore.
E molti sepolcri di religiosi morti già da tempo furono profanati. Nel 1936 "una gran folla accorse a vedere esposti i cadaveri dissepolti di 19 suore salesiane" (H. Thomas, Storia della guerra civile spagnola). Ma nessuno mai ha toccato Maria del Soccorso: anche in quella bufera, la sua tomba è rimasta intatta.

(Autore: Domenico Agasso - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Maria de Cervelon, pregate per noi.

*Beate Maria di Gesù de la Yglesia de Varo, Maria Addolorata e Consolata Aguiar-Mella y Diaz - Martiri (19 Settembre)
“Schede dei gruppi a cui appartengono:
“Beate Martiri Spagnole Scolopie”
“Beati 233 Martiri Spagnoli di Valencia” Beatificati nel 2001
“Martiri della Guerra di Spagna”

† Madrid, Spagna, 19 settembre 1936
Martirologio Romano:
A Madrid ancora in Spagna, Beate Maria di Gesù de la Yglesia y de Varo, Maria Addolorata e Consolata Aguiar-Mella y Díaz, vergini dell’Istituto delle Figlie di Maria delle Scuole Pie e martiri, che furono coronate con il martirio per la testimonianza data a Cristo.
Suor Maria de la Yglesia y Varo, nacque il 25 marzo 1891 a Cabra (Cordoba), ad otto anni divenne alunna del nuovo Collegio delle Suore Scolopie fondato nel 1899.
Studentessa esemplare, passò poi nella Congregazione delle Religiose delle Scuole Pie e fece la sua professione a Carabanchel l’11 dicembre 1911.
Fu insegnante ed educatrice nei Collegi di Carabanchel, Santa Vitoria e Madrid, qui fu dal 1922 al 1936, competente e con vero spirito di abnegazione verso le alunne ed exalunne.
Nel 1935 divenne superiora della Casa, in un momento storico, che avrebbe coinvolto la Spagna in un grande massacro tra fratelli, si dimostrò prudente, umile e di grande carità verso tutti.
Dopo lo scoppio della Guerra Civile, il 18 luglio 1936, si rifugiò con le consorelle in un appartamento vicino al collegio, da dove poi il 19 settembre fu prelevata e condotta al martirio dai miliziani rossi.

Dolores Aguiar-Mella, nacque il 29 marzo 1897 a Montevideo in Uruguay, da padre spagnolo e madre uruguayana; quando aveva 2 anni, nel 1889 la famiglia si trasferì in Spagna nella città di Madrid, dov’era originario suo padre, che aprì uno studio di avvocato.
Rimasta orfana della madre, Dolores andò nel Collegio delle Scolopie a Carabanchel dove completò gli studi magistrali; nel 1918 a 21 anni uscì dal collegio e ottenne un impiego al Ministero del Tesoro, visse cristianamente mantenendo uno stretto rapporto con le sue educatrici scolopie.
Quando dopo il 18 luglio 1936, le suore dovettero rifugiarsi in un appartamento vicino al Collegio,
Dolores volle raggiungerle e stare con loro per aiutarle; fu una decisione che le procurò varie minacce, ma lei restò ferma nel proposito.
E con le suore divise difficoltà e paure, fino al 19 settembre 1936, quando furono tutte prelevate e fucilate nei dintorni di Madrid, dai fanatici e pieni di odio, miliziani rossi.

Consuelo Aguiar-Mella, sorella di Dolores, nacque il 29 marzo 1898, anche lei a Montevideo in Uruguay, era piccolissima quando la famiglia si trasferì a Madrid, a 7 anni entrò nel Collegio di Carabanchel che frequentò fino alle Magistrali.
Nel 1918 lasciò il collegio e prese a vivere da giovane cristiana e con dignità la sua fede, impegnata nel lavoro e qualche svago.
Nel 1929 morì il padre e andò ad abitare per un certo periodo a Toledo; nei primi mesi della Guerra Civile (luglio-settembre 1936), visse a Madrid alternando la casa paterna con i due fratelli sposati, con molte difficoltà e con la preoccupazione per la sorella Dolores.
Quando il 19 settembre 1936 seppe che la sorella era stata arrestata, volle aggregarsi a lei e alle sue amate educatrici scolopie, cogliendo con loro il martirio.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beate Maria di Gesù de la Yglesia de Varo, Maria Addolorata e Consolata Aguiar-Mella y Diaz, pregate per noi.

*San Mariano di Evaux - Eremita (19 Settembre)
Sec. VI
Proveniente da un'onorata famiglia di Bourgesin Francia, abbandonò il mondo per diventare eremita a Berry.
Si alimentava soltanto di frutti silvestri e di miele.

Etimologia: Mariano = dedicato a Maria, alla Madonna
Martirologio Romano: Nel territorio di Bourges in Aquitania, in Francia, San Mariano, eremita, che non si nutriva che di frutti selvatici e miele reperito per caso.
Si tratta di un eremita vissuto alla fine del secolo V, si parla di lui in due fonti altrettanto autorevoli, che pur raccontando le poche notizie sulla sua vita, in modo diverso, alla
fine si possono benissimo integrare, perché comunque parlano della stessa persona.
Mariano apparteneva ad una onorata famiglia di Bourges in Francia, dopo imprecisate circostanze, lasciò la moglie e rinunciò al mondo per consacrarsi a Dio nella penitenza.
Dopo aver vissuto sei anni in un monastero, si ritirò in eremitaggio nel Berry, vivendo così in solitudine per 44 anni; si nutriva di frutti e miele selvatico; il luogo del suo ritiro è discorde nelle due fonti, una dice vicino al villaggio di Épineuil (oggi Épineuil-le-Fleuriel, nel Cher) e l’altra vicino Évaux (oggi Évaux-les-Bains, nella Creuse) comunque le due località sono distanti fra loro solo 45 km.
Sembrerebbe che sia vissuto ad Épineuil dove ricevé anche la visita di Tetradio, vescovo di Bourges, che consacrò la sua piccola cappella e lo invitò invano a farsi prete.

Verso la fine della sua vita Mariano si spostò, avvicinandosi a pochi km da Évaux, qui riceveva molti visitatori e un giorno che non lo si era trovato, seguirono le orme dei suoi passi e lo si scoprì morto, disteso sotto un albero di mele.
Dopo averlo lavato e rivestito, fu trasportato nel borgo di Évaux seppellendolo nella chiesa, dove ogni anno fu celebrata la sua festa; le sue reliquie sono tuttora nella chiesa di Évaux e sono portate in processione nella domenica seguente il 10 ottobre.
La sua festa è celebrata nella diocesi di Bourges al 19 agosto, data che è inserita nei Martirologi ‘Romano’ e ‘Geronimiano’.

(Autore: Antonio Borrelli - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Mariano di Evaux, pregate per noi.

*Santi Peleo, Nilo, Elia, Patermuzio e Compagni - Martiri (19 Settembre)
m. Palestina, 310
Martirologio Romano:
In Palestina, santi martiri Péleo e Nilo, vescovi in Egitto, Elia, sacerdote, e Patermuzio, che, durante la persecuzione dell’imperatore Diocleziano, furono arsi per Cristo sul rogo insieme a molti chierici.
E’ assai arduo riuscire a trovare un celeste patrono per chi porta il nome solare di Elio e la scelta non può che cadere su un martire venerato in data odierna in compagnia di altri compagni, nonostante il suo nome venga comunque ufficialmente tradotto come “Elia”.
Senz’altro è da escludere il Sant’Elia venerato il 20 luglio, grande profeta dell’Antico Testamento. Il suo nome avrebbe infatti un’origine etimologica differente ed un significato tutto proprio, cioè “Dio è il mio Signore”, mentre Elio in greco non è nient’altro che il nome del Sole.
Sempre per la medesima ragione sarebbero dunque da escludere alcuni altri santi. Di diversa origine pare anche essere il nome di uno dei quaranta martiri di Sebaste, Elias.
E’ pur vero che un altro Sant’Elio, detto il Giovane, monaco basiliano in Sicilia, è venerato il 17 agosto.
La sua vita è però collocabile nel IX secolo ed il sant’Elio del 19 settembre sarebbe così il più antico, poiché morì martire all’inizio del IV secolo, e dunque il patrono di coloro che ne portano il nome.
Il nuovo Martyrologium Romanum lo ricorda così unitamente ai suoi compagni: “In Palestina, ricordo dei Santi martiri Peleo e Nilo, vescovi in Egitto, Elia, presbitero, e Patermuzio, che, durante la persecuzione di Diocleziano, furono bruciati vivi con numerosi altri sacerdoti per Cristo”.
Fu il grande storico cristiano Eusebio di Cesarea a confermarci che Elia, a differenza di Peleo e Nilo, non fu vescovo, bensì un semplice sacerdote. Con loro e con Patermuzio subirono il martirio molti altri sacerdoti, che alcune tradizioni fissano nel numero di centocinquanta.
La persecuzione in cui si videro coinvolti fu quella lunga e sanguinosa indetta da Diocleziano e Massimiano, che in Oriente perdurò più a lungo che altrove sin dopo il 310, cioè fino ad avvenuta morte di Galerio Massimino.
Insolito fu la tecnica adoperata per il martirio di questi cristiani che, dopo aver subito i lavori forzati nelle miniere, vennero condannati nel 310 a morire sul rogo, come avvenne molti secoli dopo in Francia per Santa Giovanna d’Arco.
Avendo citato il nome di Elio, cioè del Sole, si rende necessario rammentare come in quegli anni il culto solare, tipico dei persiani e degli egiziani, fosse penetrato anche nel mondo greco e romano. Il dissoluto imperatore Caracalla ne introdusse ufficialmente il culto, cercando in tal modo di cementare la precaria coesione tra i numerosi popoli sottomessi al dominio di Roma, ai quali egli stesso aveva comunque concesso la più ampia libertà in ambito di diritti civili.
Dal nome della divinità solare trasse origine anche il nome di un imperatore, Eliogabalo, sacerdote proveniente dall’Oriente che terminò la sua vita regnando per breve tempo su Roma. Nel 273 l’imperatore Aureliano dedicò un tempio al “Sole invitto”, nel cuore dell'impero non più così invincibile.
Dopo pochi anni veniva arso vivo in Egitto il primo “Elio” dell’era cristiana, che può essere considerato quale simbolo involontario e inavvertito dei nuovi tempi che andava delineandosi in quel periodo, in cui la luce materiale del sole non sarebbe stata nient’altro che un riflesso della luce di Dio ed il Vangelo il nuovo sole del mondo e quindi dell’umanità.

(Autore: Fabio Arduino - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Peleo, Nilo, Elia, Patermuzio e Compagni, pregate per noi.

*Santa Pomposa di Cordova - Martire (19 Settembre)
Martirologio Romano: A Córdova nell’Andalusia in Spagna, Santa Pomposa, vergine e martire, che, durante la persecuzione dei Mori, fuggì di nascosto dal monastero di Peñamelaria dopo avere appreso del martirio di Santa Colomba;
giunta a Córdova, professò impavida davanti al giudice la sua fede in Cristo e, decapitata senza indugio con la spada davanti alle porte del palazzo, ottenne la palma del martirio.

(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Pomposa, pregate per noi.

*San Segnano (Sequano) - Abate (19 Settembre)
Martirologio Romano:
Nel monastero di Sisteron presso Langres sempre in Francia, San Séquano, sacerdote e abate.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San, pregate per noi.

*San Teodoro di Canterbury - Vescovo (19 Settembre)
Martirologio Romano:
A Canterbury in Inghilterra, San Teodoro, vescovo, che, monaco di Tarso, elevato all’episcopato dal Papa San Vitaliano e mandato quasi settuagenario in Inghilterra, governò con forza d’animo la Chiesa a lui affidata.
(Fonte:
Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Teodoro di Canterbury, pregate per noi.

*San Teodoro di Verona - Vescovo (19 Settembre)
Sec. VI
Etimologia:
Teodoro = regalo, dono di Dio, dal greco
Emblema: Bastone pastorale
I più antichi documenti della Chiesa Veronese menzionano questo vescovo, per cui non esistono dubbi sulla sua storicità.
Svolse la sua attività pastorale all'inizio del secolo VI in un periodo molto agitato sia per la presenza dei Goti sia per le grandi migrazioni dei popoli. Nella tradizione veronese, il vescovo Teodoro, è detto evangelizzatore dei Goti.
E' ricordato anche per la sua instancabile predicazione. Questi motivi hanno favorito un intenso culto. La sua morte è ricordata il 19 ottobre 522.
Il suo sepolcro, dapprima nella Basilica di Santo Stefano, poi in una chiesa a lui dedicata (presso Santa Maria Matricolare), dal 1534 riposa in Cattedrale.
Le sue reliquie furono collocate dal vescovo Giberti sotto la mensa dell'altare dedicato alla Madonna del Popolo nella Cattedrale.
A Verona è venerato il 27 aprile con memoria obbligatoria insieme a Tutti i Santi Vescovi della Chiesa Veronese.

(Autore: Don Marco Grenci - Fonte: Enciclopedia dei Santi)

Giaculatoria - San Teodoro di Verona, pregate per noi.

*San Trofimo - Martire (19 Settembre)
Martirologio Romano:
A Sinnada in Frigia, nell’odierna Turchia, San Trófimo, martire.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Trofimo, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (19 Settembre)
*
Santa Susanna - Vergine e Martire
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

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